Arrivo a Bucharest con la neve. Esco dall’aeroporto di Baneasa passando tra volti di gente che sia accalca all’ingresso aspettando i propri cari. Trovo subito Elena che mi è venuta a prendere. E’ qui da un paio di giorni prima di me. Abbiamo deciso di venire a Bucharest da un giorno all’altro, giusto il tempo di organizzare il viaggio. l’idea è quella di raccogliere immagini e interviste per un documentario-reportage a cui sta lavorando l’amico giornalista Maurizio Crema. Ci ospita Salvatore, un avvocato italiano che da 4 anni vive e lavora a Bucharest. L’autobus per il centro in euro costa circa 50 cent. La neve ha mandato il traffico in tilt e per arrivare a Piazza Romana ci mettiamo circa 40 minuti.
Incontriamo Salvatore nel suo ufficio, un grande appartamento senza arredamento se non per un tavolo, due computer e una stufetta elettrica. Fuori fa proprio freddo. Non proprio il clima ideale per fare riprese. Le batterie si scaricano velocissimamente.
Quella sera Salvatore ci porta a mangiare poco lontano da casa sua. In realtà in centro a Bucharest è tutto più o meno vicino e si può girare tranquillamente a piedi. Ci troviamo in una paninoteca-pizzeria come potrebbe essere in qualsiasi altra città europea, le pizze sono enormi e ti portano il ketchup da mettere sopra. Scopro che Salvatore è vegetariano e si nutre principalmente di pizza margherita.
Il giorno dopo ci svegliamo presto e iniziamo a girare per la città senza una meta precisa. Sta ancora nevicando e cerco di tenere l’ottica della telecamera al sicuro dall’acqua. Sono ad un incrocio e riprendo i pasanti infreddoliti. Una signora indispettita mi chiede cosa faccio; gli dico che sono un regista indipendente italiano (come giustificare la mia presenza in quel luogo con una camera in mano?), lei non è convinta e devo mostrargli la carta d’identità per tranquillizzarla. Poco dopo vengo investito da un gruppo di gente vestita in maniera bizzarra: un piccolo fiume di orsi, renne e cappuccetti rossi. Anche qui è Natale e i figuranti stanno andando al parco Cismigiu dove attorno alla pista per pattinaggio su ghiaccio (sempre piena di gente che pattina) i Bucarestini si ritrovano per festeggiare il natale. La solfa è più o meno come da noi: banchetti natalizi e stand che vendono vin fiert (=vin brulè, tale e quale al nostro) e arrostiscono salsicce alla griglia; Un grande palco su cui si alternano artisti della tv rumena e i figuranti vestiti da renna o orso o cappuccetto rosso che ballano in cerchio. La sera c’è un sacco di gente.
Il primo monumento che andiamo a vedere sotto la tempesta di neve è la sede del parlamento, una volta chiamato Casa del Popolo, che ha la fama di essere, dopo il pentagono, l’edificio pubblico più grande del mondo. Per costruirlo (iniziato nel 1984 e non ancora completamente finito) Ceausescu ha fatto radere al suolo un intero quartiere di circa 40.000 edifici, la maggior parte dei quali storici. Questo sembra un “vizietto” che a Bucharest non si è del tutto perso. Soprattutto gli ultimi vent’anni sono un periodo di continui cambiamenti che lasciano scettici gli stessi rumeni. “Bucharest è cambiata molto, non so se per il meglio o per il peggio. Spero che la gente qui capisca che distruggere i vecchi edifici non ha niente a che vedere con il costruire una capitale moderna ma al contrario: preservare il patrimonio storico mentre si modernizza la città, questa è la soluzione. Oggi distruggono tutto quello che possono per fare posto a nuovi edifici” Mi spiega Hanno Hoefer, film maker e musicista di origine tedesca che vive e lavora a Bucharest.
Poco lontano dal colosso che ospita il parlamento rumeno si trova una zona dei centri commerciali. La gente cammina velocemente sotto la neve. Passiamo in mezzo a una zona di ambulanti che vendono principalmente roba da vestire, calzini, maglioni, ma tanti sono senza banchetto e tengono in mano la poca merce che offrono ai passanti, spesso decorazioni natalizie tra le quali mi inquietano un po delle teste di babbo natale che sembrano essere state tagliate dal corpo del proprietario e rimpicciolite come in un rito voodoo. Dentro il centro commerciale è pieno di gente ed effettivamente sembra un po più “poveretto” di quelli che abbiamo noi, ma la merce e le marche sono le stesse che potrei trovare a Milano o a Dubai. La gente fa shopping natalizio e il Mac Donald’s del centro commerciale è strapieno di gente che magia hamburgher o beve il caffè.
Ma Bucharest non rappresenta la Romania. Forse la descrizione piu’ appropriata di questo paese me l’ha data Salvatore: La Romania è un contadino col carretto in mezzo al campo nelle sterminate campagne rumene, senza trebbiatrice ma con il cellulare ultima generazione in tasca. La Romania ha 23 milioni di abitanti, di cui solo circa 2 vivono a Bucharest.
E’ una grande capitale europea. Le banche sorgono come funghi in ogni strada della città, le compagnie telefoniche hanno negozi e pubblicità ovunque, non si contano i casinò dalle facciate kitch disseminati nel centro, i night club e centri massaggio erotici.
In ogni bar c’è una televisione che trasmette Mtv. Ci sono i Mac Donald’s, i Pizza Hut, I Kentuky Fried Chicken. L’impressione è, insomma, di selvaggio sfruttamento capitalista.
Un operaio qui a Bucharest guadagna in media 300-350 euro al mese. Nella campagne le paghe si abbassano a 200-250. Un Lei (moneta rumena) vale 4 euro. Le imposte sul reddito sono il 16% fisso, sia che guadagni 1 Lei sia che ne guadagni 10000.
Il vecchio centro storico, Lipscani, fece guadagnare alla città il titolo di “piccola Parigi”. I suoi vecchi palazzi liberty, prima case dei pezzi grossi, dopo l’89 diventati case per zingari, sono in via di restauro. Lipscani è il centro del divertimento della città. E’ forse l’unica zona pedonabile di Bucharest e ospita tantissimi locali che nulla hanno da invidiare a quelli “occidentali”. Dal ristorante con karaoke inevitabilmente trash, al pub irlandese, fino al locale storico tutto in legno dove puoi mangiare un zuppa di fagioli dentro un forma di pane mentre delle ballerine performano coreografie spagnoleggianti piuttosto fuori luogo, fino ai club più o meno underground dove si esibiscono bands di ogni genere.
“Le varie scene stanno crescendo, in modo caotico ovviamente, come tutta la società. Possiamo parlare di tanta quantità, e dove c’è quantità prima o poi viene fuori anche la qualità. prima non si poteva parlare neanche di quantità, non c’era niente” Ci spiega Ernesto Bianchi, manager musicale e prime-mover della scena rock n roll rumena, che ha abitato otto anni a Codroipo (suo nonno era italiano, come lui molti sono i discendenti dei veneti e dei Friulani qua in romania; ma questa è un’altra storia) per ritornare a Bucharest nel ’98. E’ il manager dei Grimus (http://www.grimus.ro/), un gruppo alternative rock che ha prodotto il migliore disco del genere secondo stampa rumena due anni fa. L’indie rock è in crescita qua a Bucharest. Gli chiedo che gruppi gli piacciono tra quelli che suonano adesso in Romania. “Ovviamente i Grimus. Una bella scoperta sono stati i Tolouse Lautrec, che fanno sempre alternative. Poi di validi ci sono gli Amsterdam, e i Monojacks. questi sono quelli che mi piacciono”. Quella stessa sera finiamo ad un concerto degli Amsterdam in un locale del centro, il Control. L’ingresso è 10 Lei (circa 2,50 euro). La sala è strapiena, le gente conosce le canzoni e nelle prime file cantano con la band. Loro sono 4, il look è da divisa di ordinanza dell’ indie kid dannato: magliettina colorata e caschetto col ciuffo sugli occhi. Suonano bene, e l’acustica del locale è ottima. Non il mio genere di cose, ma devo dare atto che il gruppo ha un suo perchè. Le ragazzine davanti al palco sono scatenate.
“Essere un musicista in Romania rispetto ad altri paesi è più facile, perchè non ci sono molti musicisti, quindi la maggior parte ha lavoro. Noi suoniamo molto, siamo in giro da 16 anni. E’ la vita che è difficile in romania: suoni per pochi soldi, ma d’altra parte è meglio rispetto ad altri posti” Mi dice Hanno Hoefer. La sua band, i Nightlosers (http://www.nightlosers.ro/en/), suona dal ’94. Sono un solido combo rhythm and blues che mischia il rock n roll con musiche folk rumene e zingare. Io e Hanno ci incontriamo al Taranului club, dove mi aspetta bevendo vin fiert seduto assieme ad uno strano personaggio dalla pelle scura con basette e ciuffone. Si chiama Tudor, ma è più famoso come Elvis Rromano. Spesso i Nightlosers suonano come backing band di Elvis che, da quanto capisco, è un vero animale da palcoscenico. Un paio di anni fa una regista Norvegese aveva girato un documentario su di lui, dal titolo “Viva Costanta!” ma non è mai stato finito, mi dice. Su youtube si può vedere il trailer (http://www.youtube.com/watch?v=nPGVlK6HNZM).
Tudor-Elvis Rromano è un insegnante. Insegna lingua e storia in una scuola Rom. E’ rimasto folgorato da Elvis Presley quando aveva circa 17 anni. “E’ una lunga storia. Io sono nato nel ’67, lui è morto nel ’77. Frequentavo una scuola di musica e mi costringevano a suonare musica pop e folk. Un giorno ho sentito una cassetta di Elvis: era quello che volevo fare. Poi ho visto una foto di Elvis e ho iniziato a farmi crescere le basette. Avevo 17-18 anni, Non sapevo l’inglese, così ho iniziato a cantare nella mia lingua le sue canzoni” e abbracciando la chitarra improvvisa la sua versione rom di “Mystery Train”. “Appena imparate due o tre canzoni sono salito sul tetto di casa mia e mi sono messo a suonare. così tutto il villaggio era costretto ad scoltarmi!”
Ma la vita per un performer magico come Elvis Rromano non deve essere troppo facile neppure oggi, dopo 20 anni in cui il rock n roll è “legale”. Quella sera lo seguiamo ad un party dove l’hanno invitato a suonare. E’ la festa di natale di un gruppo di creativi – fotografi, giornalisti – che hanno affittato un locale in centro per scambiarsi i regali e fare baldoria. Quando arriviamo Elvis ha già suonato, ma dopo poco è il momento della seconda parte. Ci saranno state 5-6 persone in tutto ad ascoltarlo ma Elvis suona come se fosse il suo ultimo concerto, letteralmente. La sua performance è continuamente molestata da due ragazzi ubriachi: uno mi si presenta dandomi il suo biglietto da visita, su cui è scritto “loud music photographer”, non posso fare a meno di notare che quelli che credevo tattoo fittissimi sulle sue braccia sono in realtà delle calze decorate come se fossero tattoo. E’ la prima volta che vedo questo indumento su un uomo e mi fa una strana impressione. Insomma questo tizio passa tutto il tempo del concerto di Elvis toccandogli la chitarra facendo finta di fare degli assoli, mimando mosse da metallaro e ballandogli intorno in maniera scomposta. Piuttosto avvilente. Comunque sembra non dia fastidio a Tudor che continua a suonare con flemma pezzi di Elvis ma anche alcuni brani rom tradizionali.
“Era dura ai tempi del comunismo. A scuola non mi lasciavano suonare il rock n roll. Bisognava suonare musica tradizionale, in rumeno. Ma me ne sono fregato. Dopotutto sono uno zingaro!“ il giudizio sul periodo vissuto da giovane non è però del tutto negativo. “Non credo che la rivoluzione dell’89 abbia dato realmente più libertà alla nostra terra. E’ un errore come viene interpretata la libertà. I rom sono sempre stati liberi nel cuore. Ai tempi di Ceausescu i rom erano costretti a lavorare, io ho fatto la scuola, ho avuto un’educazione. C’era molta più disciplina in Romania. Adesso è dura. E’ dura per tutti i rumeni, figurati per i poveri e i mendicanti! non possono permettersi di mandare i figli a scuola. In passato ci costringevano, ma ci davano lavoro. tutti gli zingari, tutti i rom, andavano a scuola, erano nel sistema: avevano una casa, avevano lavoro… avevano un sacco di cose”
Non è dello stesso avviso Gabriella Tarabega, la direttrice del giornale dell’associazione italo-rumena “Di nuovo Insieme”. Gabriella è una signora di una certa età, discendete di italiani, e durante il comunismo lavorava nel ministero della pubblica istruzione. “Durante il regime comunista loro (i rom) erano incoraggiati a non lavorare, a fare commerci illeciti. Adesso non sono contenti perché durante il regime avevano la libertà di fare tutte queste cose, e guadagnavano molto di più, ma adesso non si può fare. Era un modo per il regime di ottenere il consenso. Senza scuola, senza cultura, erano manovrabili” Nel suo italiano un po incerto ma calmo ci dice, in pratica, il contrario di quello che chi ha detto Tudor-Elvis. A chi credere?
4 giorni a Bucharest non sono sufficenti per comprendere la città capitale di un paese così complesso. E’ stato comunque emozionante imbattersi in persone fantastiche come il film maker/musicista Hanno Hoefer, “Scarecrow” Ernesto Bianchi e il cantante Elvis Rromano – the one and only king of gipsy rock n roll.